Carlo Scarpa a Palazzo Brusarosco

di Ilaria Abbondandolo

Un osservatore attento che camminando per contra’ Porta Santa Croce, a Vicenza, traguardasse oltre il portone del civico 3 noterebbe una traccia di discreta ma inequivocabile modernità sulla fabbrica neoclassica: la combinazione di travi metalliche inserita fra l’ordine (toscano) e il solaio ligneo dell’atrio è l’unica testimonianza visibile dall’esterno degli interventi di Carlo Scarpa (1906-1978) a palazzo Brusarosco.

Le scarse notizie sull’edificio originario lo fanno risalire a una casa Castellini eretta entro la cinta muraria scaligera nel XV secolo. Due secoli dopo la fabbrica sarebbe appartenuta a una famiglia Fontana1, quindi, nell’Ottocento, ai conti Piovene e poi a Orazio Brusarosco, che nel 1833 ne affidò il rifacimento del portico e della facciata all’architetto Tommaso Becega (m. 1852)2. Questi sembra fosse più che altro «un teorico, intento a coltivare [...] indefettibile fiducia nell’insegnamento vitruviano»3 e nei modelli costruttivi dell’antico, di cui raccolse i frutti in un Saggio sull’architettura greco-romana applicata alla costruzione del teatro moderno italiano e sulle macchine teatrali, pubblicato a Venezia nel 18174. Per la realizzazione del nuovo fronte porticato, il neoproprietario replicò in qualche misura – ma con esiti assai meno felici, subito criticati da parte della cittadinanza5 – l’esperienza che quasi tre secoli prima aveva visto protagonisti Girolamo Chiericati e Andrea Palladio per il palazzo nell’odierna piazza Matteotti: ottenne dal Comune una parte di suolo cittadino per ampliare la propria casa ma da destinare comunque a passaggio pubblico6. Il portico, rinfrescato in occasione di un recente restauro dell’edificio che dal 1981 ospita la Biblioteca Internazionale “La Vigna”, è simmetrico, con tre coppie di colonne doriche su ciascun lato dell’ingresso centrale (figg. 51 e 52). L’ordine classico, mantenuto nelle membrature superiori delle colonne – collarino, echino, abaco – è invece tradito nelle basi ottagonali in pietra e nei tozzi fusti di mattoni intonacati, leggermente rastremati ma non scanalati. Per il resto la facciata, che ha assorbito non senza difficoltà la soprelevazione eseguita con il risanamento del palazzo dopo i bombardamenti dell’ultima guerra (1959), è estremamente semplice.

Già proprietà di un don Andrea Casalini, nel corso del Novecento l’edificio passò dai Gonzati-Bortolan ai Feriani (1919) e ai Festa (1948). Fu nei primi anni sessanta del secolo scorso che Ettore Gallo (1914-2001), avvocato e docente universitario attivamente impegnato nella vita politica vicentina, acquistò il palazzo per stabilirvi la propria abitazione e lo studio professionale7. Su consiglio dell’amico Licisco Magagnato, giovane e appassionato direttore dei musei veronesi, nonché illuminato committente di Scarpa per la sistemazione del Museo di Castelvecchio allora in corso, Gallo decise di affidare i lavori della sua nuova, grande casa all’architetto veneziano8. Se nelle soluzioni strutturali e in alcuni esiti formali il progetto si avvicina effettivamente a quello di Castelvecchio – a dimostrazione del fatto che per Scarpa la forma non discende dalla tipologia edilizia –, la sua “biografia” ricorda invece quella di casa Scatturin a Venezia: come per la residenza dell’avvocato veneziano, e negli stessi anni, si trattava di intervenire su un edificio storico per adattarlo a studio e abitazione. Peraltro, anche l’avvocato Gallo, come Luigi Scatturin, avrebbe difeso Scarpa da un’accusa di esercizio abusivo della professione da cui fu definitivamente prosciolto nel 1965.

L’intervento, che comprende la distribuzione degli ambienti di uso domestico e lavorativo sui tre livelli principali dell’edificio, il disegno dell’appartamento all’ultimo piano e la messa in sicurezza dei solai di maggiore dimensione, è il primo realizzato da Scarpa a Vicenza. Esso appartiene, insieme al progetto del teatro comunale (1968)9, alla “preistoria” degli “anni vicentini” di Scarpa10, intendendo con questi l’arco di tempo che va dal 1972, quando cioè l’architetto tornò a vivere a Vicenza (nelle scuderie di villa Valmarana ai Nani), a quando perse la vita – il 28 novembre 1978 – per un tragico incidente avvenuto in Giappone. La città non solo gli era familiare – vi aveva abitato dal 1908 al 1919, al seguito della madre Emma Novello che a Vicenza gestiva un laboratorio di alta sartoria – ma avrebbe dato al giovane Carlo l’imprinting della sua futura attività come professionista e docente universitario: «sono stato appassionato [all’architettura] sin da ragazzo, se posso permettermi il lusso di dire questa cosa. Quando abitavo a Vicenza, avevo sei o sette anni, mi ricordo che [...] giocavo a palline tra le basi attiche di palazzo Chiericati. Penso che ero stato afferrato sin da ragazzo, mi piacevano molto le colonne, le basi, camminare fra gli archi»11.

Lontane dal portico palladiano in piazza dell’Isola frequentato nell’infanzia, le “colonne, le basi” nell’atrio di palazzo Brusarosco offrirono allo Scarpa maturo tutt’altro contesto architettonico. Precedente alle trasformazioni del Becega e attribuibile su basi stilistiche a Ottone Calderari (1730-1803)12, il lungo ambiente ha muri scanditi da lesene e nicchie absidate nella prima parte e quattro colonne libere nella seconda, verso il giardino. Al di sopra della trabeazione il solaio originale in travi di legno è lasciato a vista. Per il suo ripristino, come per quello del salone al piano nobile, Scarpa si affidò all’esperienza di Carlo Maschietto (1905-2002), collaborare fidato fin dal 1954, quando lavorarono insieme al Padiglione del Venezuela nei Giardini della Biennale. Pressoché coetaneo di Scarpa, fin dai primi anni trenta l’ingegnere veneziano si era specializzato nel restauro dell’edilizia storica veneta, lavorando anche a Vicenza proprio al monumento simbolo della città, la Basilica palladiana. Dalla metà degli anni cinquanta al 1978, anno della morte dell’architetto, Maschietto avrebbe prestato la propria professionalità ad almeno una ventina di lavori di Scarpa, fra cui i celeberrimi Negozio Olivetti (dal 1957), Fondazione Querini Stampalia (dal 1960), complesso monumentale Brion (dal 1970), casa Ottolenghi (dal 1975)13.

A palazzo Brusarosco, sotto agli orditi lignei dell’atrio e del salone al primo piano, furono applicate combinazioni di elementi metallici disegnate appositamente per questi ambienti e concorrenti a distribuire più efficacemente il peso dei solai sulle murature senza intaccarne le modanature esistenti. Come ha recentemente evidenziato Vitale Zanchettin, Scarpa opera secondo due principi: una rigorosa distinzione tra le parti (mai dissimulate) del sistema, e l’alleggerimento dei raccordi tra le stesse parti, ottenuto traforando la struttura metallica: «nei giunti è evidente la volontà di ‘svuotare’ i punti d’appoggio»14. Nell’atrio quattro profilati d’acciaio poggiano, senza toccarle, sulle pareti longitudinali tramite semplici mensole cave, anch’esse in acciaio, che evocano i capitelli delle vicine lesene; distanziate dai primi mediante «alte ‘cavallette’ metalliche» e ad essi perpendicolari, due travi secondarie composite sostengono il solaio preesistente (tav. VI). Qualcosa di simile accade nel salone superiore, attraversato da due robuste travi sovrapposte l’una perpendicolare all’altra, come pure nella Galleria delle Sculture a Castelvecchio, percorsa da un grande profilato d’acciaio anch’esso progettato con Maschietto. Nei tre casi, nel perseguire i suoi “principi”, Scarpa unisce una rigorosa onestà strutturale, intesa come obiettivo e valore stesso dell’architettura, a un atteggiamento ludico, conferendo ai sistemi di sostegno una qualità espressiva straordinaria, resa possibile solo dall’assoluta sicurezza nel dominarne l’aspetto statico-costruttivo.

Anche nell’ex archivio dell’avvocato, dislocato al piano terra a destra dell’atrio, è riconoscibile la mano di Scarpa. L’ambiente si apre su un cavedio interno delimitato da muri intonacati a calce e bocciardati, e ribassato in una vasca centrale con due fioriere in cemento armato15. Nei locali interni Scarpa ha mantenuto le partiture dei muri esistenti ma realizzato ex novo pavimenti, intonaci, serramenti interni ed esterni, proponendo, in forme meno raffinate, alcune delle medesime soluzioni dell’appartamento all’ultimo piano.

Un espressivo disegno autografo (fig. 53), conservatosi insieme ad altri 56 fogli di progetto, offre un’idea di come sarebbe potuto essere il parco sul retro dell’abitazione se fosse stato realizzato sotto la direzione dell’architetto. Vi si distinguono un cortile lastricato, con aiuole e vasche d’acqua, nelle immediate vicinanze della casa e, a seguire, un vasto giardino piantumato per il quale Scarpa annota i nomi delle specie arboree previste. Se il progetto del verde fu tradito nell’esecuzione che curò personalmente la padrona di casa, Ebe Fattori Gallo, nella pavimentazione del cortile sono rintracciabili elementi quasi certamente autentici.

Portato all’attenzione degli architetti nel 1989, grazie alle fotografie di Gabriele Basilico apparse sulla rivista “Abitare”16, rispetto ad altri progetti residenziali l’appartamento all’ultimo piano si distingue soprattutto per l’altissima qualità spaziale, a cominciare dall’ambiente centrale più alto destinato a ospitare l’importante collezione di dipinti della famiglia (tav. IV). Questa sorta di “piazza”, come la definì lo stesso Scarpa17, prelude a quella ricerca spaziale rivolta anche alla scala paesistica e urbana che contraddistingue i suoi progetti degli anni settanta. Nel lavoro di Scarpa di quegli anni Guido Beltramini ha saputo riconoscere «il momento di una raggiunta maturità professionale e di una definitiva libertà linguistica, parallele a un riconosciuto ruolo sociale»18. Ruolo che nella città berica gli garantirono figure come Giovanni Chiesa, futuro sindaco di Vicenza e suo committente in due diverse occasioni19, o Neri Pozza, grazie al quale fu nominato Accademico Olimpico (1973) e allestì, durante il mandato del sindaco Giorgio Sala, l’unica mostra personale realizzata in Italia finché era in vita (Vicenza, Domus Conestabilis, 17 marzo-15 giugno 1974)20.

Nell’abitazione di Porta Santa Croce, il soffitto a settori rettangolari diseguali, finiti a stucco spatolato grigio, ricorda la composizione geometrica delle pareti giapponesi tanto citate nell’architettura scarpiana. Indiscussa protagonista di questa zona “pubblica” dell’abitazione è la luce, che penetra dal grande serramento del cavedio e dai lucernari nella soprelevazione per riflettersi sul pavimento lucido in pietra di clauzetto e soffermarsi sugli intonaci martellinati delle pareti. I rimandi più immediati non sono tanto alle architetture domestiche di Scarpa quanto alle sue sistemazioni museali, Castelvecchio e la Gipsoteca canoviana in particolare. Ai lati si dispongono le stanze “private”, soggiorni e sala da pranzo affacciati a sud, verso il giardino, e zona notte sul fronte opposto, dimensionalmente più raccolti e con pavimenti in listoni di legno. Diversamente dalla casa Scatturin a Venezia, i passaggi fra un ambiente e l’altro non sono mediati da pannelli o porte intermedie, bensì diretti, attraverso varchi ampi e privi di serramenti che gli spigoli smussati dei muri invitano a percorrere.

Alcuni setti finiti a calce rasata o stucco nei colori verde, nero, rosso pompeiano, grigio (tavv. IV, V), riecheggiano le pareti realizzate nei primi anni sessanta nella casa-studio dell’avvocato veneziano o nel Museo di Castelvecchio. Svuotata del mobilio di famiglia in seguito al trasferimento dei committenti, vi restano alcuni arredi fissi – armadi a muro, mensole, passavivande, lampade – originali ma non sempre autografi.

 

Note

1 Il nome di Paolo Fontana è registrato nell’Estimo di Vicenza del 1665: Archivio di Stato di Vicenza, estimo, b. 1850, c. 7r. Ringrazio il personale dell’Archivio per la gentile assistenza offertami nella ricerca dei passaggi di proprietà del fabbricato e del terreno retrostante effettuata a partire dai Catasti preunitari.
2 A. Ciscato, Guida di Vicenza, Vicenza 1870, p. 128. Sulla storia del palazzo, cfr. B. Bressan, I monumenti d’architettura vicentini, c. 29, e Studi sulle fabbriche di Vicenza, c. 150; D. Bortolan, S. Rumor, Guida di Vicenza, Vicenza 1919, p. 51; L. Magagnato, I. Vercelloni, in “Casabella”, 226, aprile 1959, pp. 47-57; F. Barbieri, Illuministi e neoclassici a Vicenza, Vicenza 1972, p. 158, nota 60; e, da ultimo, la sintesi di F. Barbieri, in Stanze vicentine: le stanze dei palazzi vicentini nel corso dei secoli, Altavilla Vicentina (VI) 2003, pp. 140-149: 143-144.
3 Barbieri, in Stanze vicentine... cit., p. 144. In veste di architetto fu responsabile delle alterazioni ottocentesche a palazzo Da Monte fra contra’ Santo Stefano e contra’ Santa Corona: F. Barbieri, R. Cevese, Vicenza. Ritratto di una città, Costabissara (VI) 2004, p. 528.
4 R. Cevese, L’interesse all’arte degli storici vicentini del secolo XIX, in Storia di Vicenza, IV/2. L’età contemporanea, Vicenza 1993, pp. 11-12.
5 In una nota manoscritta oggi conservata alla Biblioteca Internazionale “La Vigna”, Giorgio Scattolin, già Segretario generale della Biblioteca, riporta che agli angoli delle strade comparvero versi satirici: «D’un rozzo provinciale coi danari/ Vile architetto erse magion che insulta/ I Palladi, i Scamozzi, i Calderari».
6 La vicenda di palazzo Chiericati è descritta, da ultimo, in G. Beltramini, Palazzo Chiericati, in Palladio, catalogo della mostra (Vicenza, Palazzo Barbaran da Porto, 20 settembre 2008-6 gennaio 2009; Londra, Royal Academy of Arts, 31 gennaio-13 aprile 2009), a cura di G. Beltramini e H. Burns, Venezia-Vicenza, 2008, pp. 90-93: 92.
7 Magistrato (1936-1946), quindi avvocato penalista (fino al 1976), Gallo fu membro del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1976 al 1982, quando fu eletto giudice e successivamente presidente (1991) della Corte Costituzionale. Ricoprì la cattedra di Diritto penale alle Università di Ferrara, Firenze, Roma La Sapienza. A Vicenza fu per molti anni attivo nell’ANPI e consigliere comunale nelle liste del Pci dal 1964 al 1971. Un profilo biografico di Ettore Gallo è disponibile sul sito web dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Vicenza a lui dedicato in virtù della sua partecipazione alla lotta partigiana e del suo impegno, da professionista e da studioso, nella difesa degli ideali antifascisti, del valore della Costituzione e dei diritti dei lavoratori.
8 Per una sintetica scheda dell’opera, con bibliografia e documentazione fotografica aggiornate al 2006, cfr. I. Abbondandolo, in Carlo Scarpa. Atlante delle architetture, a cura di G. Beltramini e I. Zannier, “Studi su Carlo Scarpa”, 5, Venezia-Vicenza 2006, pp. 186-197 (fotografie di Václav Šedý), 309.
9 Insieme a Franco Albini e Ignazio Gardella, Scarpa fu uno dei tre architetti invitati a partecipare al concorso del nuovo teatro bandito dal Comune di Vicenza. Su questo progetto cfr. V. Zanchettin, in Carlo Scarpa. Mostre e musei 1944-1976. Case e paesaggi 1972-1978, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio-Vicenza, Palazzo Barbaran da Porto, 10 settembre-10 dicembre 2000), a cura di G. Beltramini, K.W. Forster, P. Marini, Milano 2000, pp. 286-288.
10 Sono definizioni di G. Beltramini, Carlo Scarpa: gli anni vicentini (1972-78), in Carlo Scarpa. Mostre e musei... cit., pp. 276-279.
11 Un’ora con Carlo Scarpa, documentario televisivo a cura di M. Cascavilla, G. Favero, Roma, RAI, 1972 (intervista trascritta da O. Lanzarini, in Costruire il dispositivo storico tra fonti e strumenti, a cura di J. Gudelj, P. Nicolin, Milano 2006, pp. 247-273).
12 Vedi infra, nota 2.
13 L. Orsini (Note per una biografia di Carlo Maschietto, in Carlo Scarpa. Struttura e forme, a cura di W. Teghethoff e V. Zanchettin, “Studi su Carlo Scarpa”, 6, Venezia-Vicenza 2007, pp. 158-161) ha recentemente appurato che il progetto di casa Gallo è documentato nell’archivio di Carlo Maschietto (pratica n. 427) e porta la data del 1963, riferibile all’inizio dei lavori. Sulla figura professionale di Maschietto in rapporto all’opera di Scarpa si veda anche un secondo contributo di L. Orsini nello stesso volume di “Studi”: Carlo Maschietto, Carlo Scarpa e il negozio Olivetti scomparso, pp. 149-157.
14 Zanchettin per primo nota anche l’uso, derivato dall’edilizia tradizionale, di cunei in legno e leggeri profili metallici posti fra le travi longitudinali e l’ordito del solaio originale: V. Zanchettin, Il senso del grave. Carlo Scarpa e la retorica della struttura, in Carlo Scarpa. Struttura e forme, cit., pp. 59-81: 69-70.
15 Cfr. G. Bruschi, P. Scaramuzza, in G. Bruschi et al., Il calcestruzzo nelle architetture di Carlo Scarpa. Forme, alterazioni, interventi, Bologna 2005, p. 176.
16 Il gusto veneto: il caso di Vicenza, a cura di G. Scarpini, con la collaborazione di M. Amaglio e R. Marzotto, in “Abitare”, 272, 1989, pp. 172-199: 173-177.
17 A. Di Meo, in Carlo Scarpa. Mostre e musei... cit., p. 280.
18 Beltramini, Carlo Scarpa: gli anni vicentini... cit., p. 276. In quegli anni, a Vicenza, avrebbe lasciato un altro segno importante, il condominio in contra’ del Quartiere (1974-1978): cfr. P.-A. Croset, C. Rovetta, in Carlo Scarpa. Mostre e musei... cit., pp. 314-316, e la recente analisi di M. Pogacnik, Carlo Scarpa: tettonica illustrata da forme, in Carlo Scarpa. Struttura e forme, cit., pp. 35-57: 45-56.
19 I progetti del Country Club a Montecchio Maggiore (1970-1972) e dell’annesso a villa Matteazzi Chiesa a Ponte Alto (1974-1975), entrambi rimasti sulla carta: cfr. le schede rispettivamente di G. Beltramini e I. Abbondandolo, in Carlo Scarpa. Mostre e musei... cit., pp. 298-301 e 328-329.
20 Cfr. O. Lanzarini, in Carlo Scarpa. Mostre e musei... cit., pp. 308-309.

Tratto da: Demetrio Zaccaria e la Biblioteca Internazionale "La Vigna", a cura di Giovanni Luigi Fontana, Mario Bagnara, Francesco Vianello, [Vicenza], Centro di cultura e civiltà contadina Biblioteca Internazionale "La Vigna", [2008].

 

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